Potessero le mie parole (ma non potranno) restituire ai lettori un poco della magia che a Luisa e me è toccata in sorte un tardo mattino di fine ottobre a Lucinasco, “cuore” dell’imperiese, 500 m di altitudine e nemmeno 300 abitanti…
Nella casa di Cristina Armato, anzitutto, e sono casa anche il suo caffè ospitale, i suoi uliveti, il piccolo museo “di famiglia” allestito con amorevole semplicità, e il giardino con gazebo da cui ammirare panorami a perdita di cielo.
Ovunque la taggiasca, in via di raccolta, sana soda viva, senza mosche né vermetti a tormentarla.
Poi nel Museo e casa contadina “Lazzaro Acquarone” (scultore e pattiere), sotto i resti del castello, la frugale vita quotidiana scandita dagli spazi dell’abitare e dagli attrezzi del lavoro, anche qui – dove si campava d’ulivi, castagni e greggi – un’atmosfera autentica, quasi mistica, che induce al silenzio e al raccoglimento, via dalla pazza folla…
E ancora nell’Oratorio dei disciplinanti di San Giovanni Battista, gioiellino incastonato fra le austere pietre delle case, col Cristo vegliato (strabiliante in tutto il gruppo ligneo quattrocentesco la cura scultorea del dettaglio, dal costato trafitto, alle vene lungo i polpacci, alle commoventi figure in piedi). Qui ho avuto il piacere di ascoltare Alessandro Giacobbe, profondo conoscitore della storia locale, la sua sapienza è pari alla sua passione.
Il museo prosegue anche sul territorio, attraverso risorse della natura, del paesaggio antropizzato, della ruralità agricola, ligure che più ligure non si potrebbe, incoraggiando il turista verso autonomi percorsi di scoperta: edificazioni devozionali, infiniti muretti a secco lungo le fasce terrazzate, “caselle”, segni votivi, pozzi per il bagno della canapa, ponti, vasche, camminamenti per muli ed uomini…
Infine, last not least, nell’azienda di Carlo Siffredi, dove i fiscoli non torchiano più le drupe, sul pavimento non vedi neppur un residuo di lavorazione, ma è rimasta la vocazione orgogliosa di produrre l’olio secondo natura, cedendo rispettosamente la parola a sua maestà la cultivar locale.
Lucinasco si estende su 819 ettari, e non a caso più della metà sono uliveti. E’ verosimile che la taggiasca sia – anche qui – “merito” di frati, che ne diffusero l’attecchimento tramite l’innesto a spacco, agevole quanto ad esecuzione. Quest’anno vi sono state alcune criticità in fase di allegagione, e la raccolta, a causa di alte temperature e costanti siccità, avviene in anticipo, forse con un frutto – nel complesso – un poco più pungente e amaro. Chi ha ben potato e ben irrigato potrà verosimilmente godere di un’annata eccellente.
Garanzia qualitativa, mi garba affermarlo forte e chiaro, ne è oggi la DOP, istituita nel 1997, che in Liguria regala nelle 3 sottozone (Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente savonese e Riviera di Levante) eccellenze oggettive, diverse fra loro, e molto caratterizzate. Un nutraceutico perfetto in accostamento a piatti vegetali, pesci e molluschi di cucine delicate, panissa di mais, finanche – tuttavia – carpacci di fassona…
Ma a Lucinasco s’incontrano anche – talora in comproprietà coi borghi dirimpetto – ravioli di borragine, coniglio al timo, lumache, capra coi fagioli, frittelle salate e dolci.
Liciniascum, antico fundus, villa cum agro fundus dicitur, recitavano i Digesti. Le persone che vi ho incontrato, che mi hanno accolto, che mi hanno aperto sorridenti le loro porte sono persone rimaste a vivere qui, per amore del territorio, hanno puntato sulla custodia delle tradizioni, hanno intravisto – per sé e per i figli – il futuro anche nella memoria, nell’oro delle olive, nella decenza appartata che sarebbe piaciuta a Eugenio Montale, uomo di Levante.
Dedico loro queste righe, ma anche alle persone che mi sono più “vicine” professionalmente, sono certo che non poche adorano Lucinasco, e qualcuna mi dà ascolto e si sta mettendo in viaggio. Non mi stancherò di ripeterlo: sulle tavole dei ristoranti liguri io vorrei incontrare sempre olio extravergine DOP Riviera Ligure (e, parafrasando John Lennon, “potresti forse definirmi un sognatore, però non sono il solo”).
Umberto Curti