19 gen 2022  | Pubblicato in Ligucibario

Le origini dei Liguri

smartFelice affluenza di pubblico, oltre 70 i convenuti, ieri alla presentazione del mio “Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana”, organizzata da “A compagna” presso l’oratorio San Salvatore in piazza Sarzano, a Genova. Si è trattato in gran parte di persone coi capelli d’argento, pochi in casi come questo i giovani, forse a confermare un relativo disinteresse circa gli appuntamenti culturali e la storia locale. Tuttavia, questo tempo che tutto accelera e digitalizza, vede ormai in Italia più di 2 milioni di “neet” (not in education, employment or training), ovvero persone dai 15-29 anni che non studiano, non lavorano, neppur più si formano, rassegnati ad una sorte passiva e demotivante. Pensare che, ove opportunamente “attualizzati” (svecchiati?) e “orientati”, i nostri patrimoni paesaggistici, archeologici, storici, d’arte, letterari…, sarebbero ancora l’attrattore italiano capace di creare lavoro, opportunità di crescita, reti interprofessionali, animazione e sviluppo territoriale.
Heritage, terroir, genius loci, sono molte le belle parole italiane ma anche straniere con cui “sintetizzare” il meglio del nostro Paese.
Terminata la conferenza, molti mi hanno avvicinato per chiedermi ulteriori approfondimenti su temi che, per ovvie esigenze di sintesi, avevo solo toccato di sfuggita. Fra questi, le “origini” del popolo ligure, la sua provenienza, i primi accadimenti che lo interessarono… Rispondo loro col testo che segue.
Tracce relative ai Liguri rinviano sin dall’inizio a passi d’autori molto diversi, d’Esiodo, di Ecateo di Mileto, di Eschilo, i quali li ubicano addirittura fra i primi abitanti dell’Italia, “la terra dei vitelli”. Come noto, anche in questo caso il poco materiale letterario che residua su costoro, la loro vera più che supposta provenienza, la suddivisione in tribù, gli usi, ed infine l’audace resistenza all’avanzata militare romana, è sparso lungo una decina di secoli, non chiarisce definitivamente un’etnogenesi, e non è – per così dire – la voce dei liguri.
Le denominazioni dei gruppi non si decifrano né col gallico né con l’indoeuropeo; Genuates, Apuani, Ingauni, Intimilii, Statielli, Bagienni/Vagienni, Taurini, Salassi, Friniates (abitanti l’Emilia). E fuor d’Italia i Salyes o Salluvii, della bassa valle del Rodano, e gli Elisyces nel Narbonense.
Dall’Arno all’Ebro essi (“pirati montani”) non espressero mai le proprie antiche origini, i propri spostamenti a varie cause dovuti, le espansioni e gli arretramenti, né quelle asperrime montagne, massicce e stabili come loro, luoghi coerenti all’indole?, cui dovettero adeguarsi (ma riconoscendo sacertà alle vette), fra rigori climatici e presenze d’animali feroci che oggi non sospetteremmo…
Di certo, i Liguri a lungo avevano percorso l’Europa Occidentale procacciandosi o lasciando territori. Esiodo sulle sponde ovest del Mediterraneo li nomina in “esclusiva”, quasi sinonimici dell’area; Eratostene definisce Ligustica la penisola iberica; Aristotele ed Ecateo li posizionano in Provenza, basso Rodano (il toponimo Livière si legherebbe a Lig onde Liguria, zona paludosa, malsana…).
Polibio, descrivendoli pressati dai Celti a nord e dagli Etruschi ad est, li “limita” già (!) tra i fiumi Arno e Rodano, incluse le meno ospitali aree alpino-appenniniche e quello che oggi chiamiamo Basso Piemonte. Attorno al monte Ebro, tra val Borbera e val Curone, dimoravano i Liguri Euburiati.
Roma riporta quasi sempre notizie di una gente indomita, libera, restia ad assoggettamenti gerarchici, di fatto da piegare con forza spietata, commisurata all’altrui brutalità (si badi che alcune tribù preferirono il suicidio collettivo alla deportazione dai luoghi aviti). Strabone, Plutarco, Floro e Diodoro Siculo infatti non sorvolano sulle difficoltà che le truppe romane, pur già efficientissime, costantemente incontrarono. Altri passi recuperiamo in Virgilio e Tito Livio, e Catone ‘Maior’ sospetta che i Liguri stessi nemmeno la sapessero, la propria provenienza…
Che rimane (e rimarrà) per gran parte un affascinante mistero in termini di ricerca storica, tanto più che gli antichi, che furono geografi ed etnologi forzatamente modesti, ci consegnano teorie confuse e contraddittorie: Strabone e Diodoro Siculo presumono i Liguri d’ascendenza greca; Plinio, Pseudo Scillace e Festo Avieno iberica, Plutarco celtica. Dionigi d’Alicarnasso rievocherebbe i mitici Aborigeni, limitrofi agli Umbri, ma… La questione è tuttora apertissima, e solo la miglior paleoantropologia ha offerto spiragli di luce.
Berthelot, nel ‘900, tesaurizza anche racconti mitologici – sempre da utilizzarsi con cautela – per ubicare le origini dei Liguri nell’Europa settentrionale, notando il cigno totemico sulle armature, tipico nell’età precedente il Paleolitico (ritrovamenti presso il castellaro di Monte Santa Croce a San Biagio della Cima…), e gli ornamenti e amuleti d’ambra. Quel nord sarebbe stato investito dalle prime migrazioni proto-arie, che poi si spostarono a sud.
Decadde via via, viceversa, l’ipotesi turanica, che lega i Liguri a popoli Ugro-Finni, incardinandosi su parallelismi paleoeuropei tra il basco e alcuni lemmi liguri (e proto-sardi) che scampano alla latinizzazione, parallelismi tuttavia assenti – e ciò non è irrilevante – nella toponomastica. L’ipotesi fu già respinta dal linguista Hugo Schuchardt.
Tito Livio sottolinea come precedentemente possedessero l’intera valle del Po, e Giustino li individua anche in quella dell’Arno. Affiora insomma, dal complesso, una certa fisionomia territoriale, che tuttavia Medioevo e Rinascimento non sapranno né comprovare né “implementare”.
smartGli usi e la quotidianità dei Liguri pre-romanizzazione sono autorevolmente descritti da storici quali il già citato Tito Livio. In effetti, dai Balzi Rossi fino all’isola Palmària, dalle coste alle cime dell’Appennino, “infine” da Lunae ad Albintimilium essi vivevano di caccia, pesca, pastorizia e coltivazioni, impiegavano manufatti di pietra ed osso finemente realizzati, e sono tornate alla luce bellissime asce litiche così resistenti e taglienti da atterrare grandi faggi, frammenti di corda, stoffe di lino. Prevaleva il matriarcato, sebbene i nati venissero riconosciuti dai padri. Le donne si presentavano vigorose e muscolose, dai fisici magri e tonici, resistenti all’impegno al pari degli uomini… Approfondimenti a questo link.
La diffusione dei metalli è alquanto tarda, approssimativamente 600 a.C., allorché si producono attrezzi in bronzo; il ferro, infine, rimase quasi soltanto materiale “decorativo”.
Di fatto vigeva una dimensione clanica, e comunitaria, che “separava” le tribù le une dalle altre (esse si aggregavano solo in caso di guerra), tribù in cui il capo officiava anche i momenti spirituali, accorpando potere politico e religioso.
Solo alcune epigrafi romane, da aree alpino-appenniniche, ci svelano qualcosa circa la religione, che onorava – come detto – le cime, nonché i venti, le piante (il robusto e longevo faggio), ed intensamente le fonti d’acqua (si pensi a Borman→Bormanus nell’attuale Dianese). Sulle antiche pietre si disegnavano corvi e serpenti, e le “sfolgorine” (quelle colpite da fulmine) avevano funzione talismanica. Si venerava, in qualche modo, tutto quel che è vivo o vivificante: sole, luna, stelle del mattino e della sera, terra (madre), fuoco.
I Liguri non si dimostrarono predoni di terre né d’uomini (tesero sempre al rispetto della libertà altrui), e progressivamente divennero stanziali coltivando lino e orzo, melo, nocciolo e castagno (la storiografia romana situa come bevanda più diffusa la birra, mentre la viticoltura s’affermò dopo la conquista, si veda ad es. l’iscrizione sulla Tavola Bronzea recuperata in val Polcevera, di fatto riferita ad un vectical erariale che un gruppo pagherà in vino ad un altro). Costruivano in punti strategici oppida e castella (si rammenti già la differenza greca fra polis e astu), e si riunivano (conciliabula) in spiazzi collettivi a ciò dedicati. Abitavano in vici o viculi sovente attigui a fonti e assi viari importanti, talora ad approdi.
Cicerone nel De lege agraria allude a genti attive, destre e intrepide, così come il Virgilio delle Georgiche, tenendo però presente che costui nell’Eneide (come Catone stesso) sarà assai meno generoso descrivendo i Liguri astuti, mendaci e perfidi, capaci di cavarsela con strattagemmi abili ed insidiosi… Raramente, quando lo descrive, il dominatore è incline al dominato…
I documenti letterari (Diodoro Siculo) connotano poi alcuni aspetti fisici e caratteriali, di gruppi “tenaci e rudi, piccoli di statura, asciutti, nervosi… Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l’intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilati e pesanti, altri, avendo avuto l’incarico di lavorare la terra, non fanno altro che estrarre pietre… A causa del continuo lavoro fisico e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi… Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali… Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve… essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo”.
Il poeta Lucano aggiunge la capigliatura lunga e irsuta, e Tito Livio ribadisce la resistenza alla fatica, e l’agilità e velocità nella corsa.
Le ostilità romano-liguri – lunghe, aspre, sanguinose – datano al 238-237 a.C., la conclusione via via conseguì al trionfo romano di Cartagine (146 a.C.), con la “pacificazione” degli Ingauni e la deportazione dei Friniati (Frignano) nel Sannio. Roma prevalse anche perché le tribù liguri non seppero mai realmente federarsi contro l’avversario, disperdendo così le proprie forze d’urto.
L’avvicinarsi minaccioso di Annibale alle Alpi spinse i Liguri, i Galli Boi ed i Galli Insubri ad auspicare e architettare una grande rivalsa su Roma e sulla sua arroganza. Malgrado sviste anche pliniane, questa Padanìa era di fatto ligure, sappiamo che le tribù locali abitavano “zone soggette ad acqua”, paludi, golene, su cui erigevano palafitte… La sconfitta di Cartagine, come detto, rappresentò dunque una svolta drammatica per i Liguri, poiché Roma, svincolata da quel fronte, coagulò truppe, risorse e sforzi contro i nemici italici. E dal 180 a.C., malgrado residuali ribellioni, i Liguri furono assoggettati (diventando la regio IX), ed anzi militarono coraggiosamente per Roma contro il berbero Giugurta, re di Numidia, e contro le tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni. Chi rimase sui monti fu ovviamente disarmato e, di fatto, confinato ad esistenze primitive.
Naturalmente, la successiva realizzazione di strade in molti casi toccò e “valorizzò” quelli che erano stati gli insediamenti liguri nei punti più strategici dell’Appennino. Nel 109 a.C. la via Aemilia Scauri prolungò quel percorso che Aurelio Cotta aveva iniziato due secoli prima. Proseguita da Augusto, essa divenne la via Julia Augusti. Ed Augusto stesso ordinò il ripristino anche del tracciato che collegava Vada Sabatia (portuale) con Aquae Statiellae (Acqui Terme) e Derthona (Tortona), via val Bormida, e del tracciato che dalla costa saliva la val Tanaro, verso Ceba (Ceva), Pollentium (Pollenzo presso Bra) e Alba Pompeia (Alba). Approfondimenti a questo link.
Lungo le strade sorgevano stationes, mansiones e mutationes (punti tappa ov’era possibile caso per caso riposare, rifocillarsi, riparare o cambiare animali), talora cauponae e popinae, ovvero semplici locande e trattorie.
Nel frattempo, per decreto senatoriale, veniva eretto il trofeo delle Alpi alla Turbia, oggi pittoresco villaggio presso Monaco, per onorare – proprio sul confine con la Gallia Narbonense – i trionfi delle legioni di Augusto e dunque la totale, finalmente definitiva pacificazione del suolo italico.
Quel reticolo viario/infrastrutturale fornì impulsi nuovi e decisivi alle sorti socioeconomiche della Liguria, “nutrendo” i traffici delle città costiere ed attenuando le criticità di quell’orografia che tuttora per così dire l’affligge. Dall’Appennino non a caso scese un esodo di popolazioni verso Genua a sud, oppure, anche sfruttando via via la Postumia, verso i fiorenti centri di pianura quali Libarna (che prima dell’abbandono d’epoca barbarica raggiunse probabilmente i 4-7mila abitanti), Derthona e Vicus Iriae (Voghera), in cerca di occasioni di lavoro e di benessere, quel che oggi diremmo occupazione e qualità della vita.
Umberto Curti
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