17 mag 2015  | Pubblicato in Ligucibario

La spungata di Sarzana incontra il Moscatello di Taggia… al Festival di Cannes 2

spungata...da sarzana a cannes

spungata…da sarzana a cannes

Ecco la lecture preparata da Umberto Curti e Luisa Puppo per la International Conference dell’IFC (Italian Film Commissions) a Cannes.
Spungata… eccola qui, bella, in primo piano. Sarzana, città di charme della Liguria orientale, la condivide con varie altre località. Quella di Sarzana è sempre ricetta di qualità, i pasticceri locali quasi “rivaleggiano” fra loro… Si tratta di un dolce davvero antico. Due le possibili origini: una d’ambito romano (troviamo allusioni in Ovidio e Petronio), e una di ambito ebraico (una ricetta che dalla pianura padana “scese” verso la Lunigiana). La spungata si gusta a Natale, in famiglia, tradizione molto sentita e beneaugurante.
Non essendo lievitata, può ben abbinarsi a vini passiti.Per esempio al magnifico DOC Cinque Terre Sciacchetrà, o al DOC Riviera Ligure di Ponente Moscatello di Taggia. La ricetta cambia da luogo a luogo e anche da pasticcere a pasticcere. Alcuni privilegiano la sfoglia, altri la brisée, altri la frolla. Cambia anche il ripieno, ma sovente si incontrano miele e frutta secca, anche in virtù del loro valore simbolico (miele come armonia della vita, frutta secca come prosperità). Il gourmet esalta ovviamente l’artigianalità della preparazione. Accanto a pasticceri che si tramandano la passione per l’eccellenza. La spungata di Sarzana in tal modo “sente” al 100% la creatività e il gesto manuale di colui che la prepara: l’artigiano!

Anche la spungata racconta una storia di commerci, di percorsi, di mercanti, culture, afflati religiosi. E’ questo, ovunque, il Mediterraneo. “V’è più storia in un’onda del Mediterraneo che in tutti gli oceani messi insieme”, scrisse Raffaele La Capria. Oggi abbiniamo la spungata al Moscatello di Taggia, eroico recupero di un moscato bianco, vigne abbarbicate alla verticalità di una riviera ponentina che fu, non a caso, quella di Claude Monet, di Francesco Biamonti… Il sole, fra fasce terrazzate e muretti a secco, dà colore e profumi alle uve, il Moscatello è un passito elegante, perfetto con la pasticceria secca (canestrelli cobeletti baci di dama), con le crostate di pastafrolla, con confetture di frutti a polpa gialla, finanche con le cubaite di Triora e non solo…

“…viene all’alma Roma da più province, e per mare e per terra, ma il meglio è quello che viene dalla Riviera di Genova da una villa nomata Taglia… di colore dorato, non fumoso e troppo dolce ma amabile, ed abbia del cotognino e non sia agrestino”, lo descrive e lo auspica così Sante Lancerio, il sommelier di papa Paolo III Farnese, a metà del secolo XVI.

Mediterraneo, la “grande pianura d’acqua”, il “mare fra terre”, è parola che da molto tempo incarna anche valori simbolici, grazie alle popolazioni e persone che l’hanno abitato ed abitano, grazie alle memorie – che ci rimangono, o che talora ci “figuriamo” – degli eventi che vi si sono svolti lungo i millenni (le migrazioni, i commerci fenici, le talassocrazie, l’Egitto dei faraoni, la pastorizia nomade ai tempi dell’Antico Testamento e sino al medioevo, le sofisticate culture ellenica e romana, le mitologie dove incontriamo Demetra-Cerere, Artemide-Diana, Dioniso-Bacco…).

Ed anche, non da ultimi, grazie ai colori e ai profumi che alla natura e alla cucina mediterranee sùbito associamo, sono peraltro i colori che incantarono decine di pittori specialmente ottocenteschi. Creativi i quali di solito non vissero il Mediterraneo in una prospettiva meramente intellettuale e culturale, ma s’ingegnarono ognuno a proprio modo di penetrarne l’essenza intima, perché esso restituisce di continuo una forza viva e vivificante, tutto il contrario di un panorama immobile di rovine archeologiche che infiammi il vedutista malinconico.

Poiché fra Alpi e Atlante, fra Mar Morto e Atlantico hanno coabitato, condizionandosi a vicenda, molteplici economie, società, stati e culture, si è legittimamente affermato che il Mediterraneo è mille cose insieme, non un paesaggio ma innumerevoli paesaggi, non un unico mare ma un susseguirsi di mari, non una civiltà ma tante civiltà stratificate le une sulle altre, dove da millenni tutto confluisce e arricchisce la storia.

Una biodiversità intesa come insieme di uomini, culture, etnie, storie, piante e animali, dove l’unità e la diversità s’inseguono e si fondono, e dove talvolta la cultura alimentare può fungere da comun denominatore.

E’ stato scritto che “vi sono tante funi sommerse, come dicevano i poeti, funi sommerse in tutto il Mediterraneo, che occorre rinnovare, ritrovare…” Verosimilmente, non si può comprendere appieno la bellezza armoniosa del Mediterraneo se non si approfondiscono, come viandanti antichi, le sue cucine, se non si ritrovano le funi dei suoi alimenti, che sono tutt’uno col paesaggio e col clima (e pertanto andrebbero comunicate in osmosi con essi, conservando prima di tutto il giusto nome alle cose). “Non ci si può fare un’idea dell’Italia senza vedere la Sicilia. E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto”, scrive proprio Goethe nel 1787. E gli fa eco Guy de Maupassant nel 1890: “Sappiamo quanto è fertile e movimentata questa terra, che fu chiamata il granaio d’Italia, che tutti i popoli invasero”.
E non ci si può fare un’idea del Mediterraneo senza vedere la Liguria.

Umberto Curti, Ligucibario®

 

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