2 feb 2023  | Pubblicato in Ligucibario

La “haute cuisine” e via Montevideo

stoccafisso!

stoccafisso!

Chiude (anche) il pluristellato “Noma” di Copenhagen, chef René Redzepi lo annuncia/socializza con circa un anno di anticipo, causa i costi e i ritmi insostenibili. Sperimenterà formazione e pasti online. Si tratta del ristorante eletto 5 volte il migliore del mondo negli ultimi 11 anni, ed ho letto di 500 euro a coperto (mi chiedo peraltro come un ristorante possa esser reputato “migliore” di tutti gli altri ristoranti a livello mondiale…).
Al tema hanno fatto per così dire seguito sia un leale intervento di Fulvio Pierangelini su “Il fatto quotidiano” sia una brillante puntata di “Report” su Raitre. Chi mi legge peraltro può anche recuperare online un mio pezzo (27 maggio 2020, quasi tre anni fa) nel quale tratteggiavo la crisi di molti ristoranti (e chef) celebri niente di meno che a Londra.
Direi che oramai alcune tendenze in atto sono (sin dalla chiusura di “El Bulli” di Ferran Adrià nel 2011) chiare, a chi voglia vederle: una sorta di bolla formatasi dalla metà degli anni ’80 del Novecento (nouvelle cuisine, guide, magazine, web, eventi, cucine anzitutto mediatiche…), e via via progressivamente dilatatasi anche dentro i contest televisivi, sempre più addestramenti da marines senza sorriso, mostra crepe forse prodromiche ad un forte scoppio. Scrive Paolo Conti su un magazine che “qualcosa nell’immenso circo mediatico legato alla cucina, nell’incredibile mitologia degli dèi dei fornelli che da qualche anno dilaga sui canali tv, comincia a non funzionare più”. E nel frattempo, non a caso, vanno assai calando anche le iscrizioni agli istituti alberghieri, che in anni recenti costituirono viceversa un boom.
D’altronde, in parallelo, la tastiera del computer e/o dello smartphone ha trasformato molte persone in recensori, “travolti” da cucine molecolari, piatti destrutturati e sifoni…; e nei (mille) post di costoro (che mai mancano di far sapere al mondo dove stanno mangiando) gli spaghetti vengono sempre serviti tramite il coppapasta, una foglia d’oro non si nega a nessuna portata, con la salsa si disegna a gouache, il vino è come minimo un grande Barolo, o un Gevrey-Chambertin… Tutto questo fa anche un po’ tenerezza.
A causa di un grave lutto famigliare, io fui iniziato da mio padre alla cucina e ai vini di qualità appena 18enne. Ricordo con saudade i suoi ottimi rapporti con tanti cuochi capaci, fra cui il sommo Claudio Pasquarelli, il re dei branzini, che lassù a Bergeggi ogni 14 d’agosto (Sant’Alfredo) gli confezionava una torta di onomastico… E che credo non si sia mai sentito né un artista né un guru.
Debbo tuttavia precisare che in quegli anni, pur accanto a progressive sperimentazioni e novità, a molte tavole si avvertiva ancora l’eredità di Mario Soldati, di Paolo Monelli, di Gino Veronelli. Il buon profumo delle loro pagine, della loro visione del mondo, “camminare le osterie”, intercettare i prodotti il più possibile presso le “sorgenti”. Veronelli, che ebbi il piacere di conoscere (la mamma era di Finalborgo) dava del tu ai suoi affezionati lettori, creava riusciti neologismi, si batteva per i contadini e le genuinità, e mai vaneggiava. “Il peggior vino del contadino è migliore del miglior vino industriale”, affermava, una delle tante sue provocazioni divenute storiche.
In molti ristoranti trendy cosa sopravvive, oggi, dei piatti del territorio, delle ruralità, delle ricette della memoria? I recenti e mutevoli decenni hanno costituito, non sempre in positivo, un’era geologica. Ma cucina italiana, non dimentichiamolo, significa 20 (o più) gloriose cucine regionali… Significa biodiversità, cultivar autoctone, genius loci, filiere da accorciare, buonessere (parole per le quali Ligucibario® si batte da molti anni, e che ritornano puntuali puntuali anche nel mio penultimo libro (link qui)). Forse, mi vien da dire, perdura più tradizione in alcune magnifiche trattorie “da camionisti” proposte dal noto format sul canale 33 che in centinaia di locali magnificati da guide, o espressamente nati modaioli.
Siamo oggi alla vigilia di una clamorosa, ma prevedibile, inversione di tendenza?
Ligucibario®, come noto, non ha mai venduto (né mai venderà) spazi pubblicitari, ciò che scorrete, amici Lettori, origina sempre da scelte indipendenti. Talvolta mi domandate dov’io mangi. Oggi vi racconto che in via Montevideo a Genova opera un bar-trattoria che ispira alla nautica il proprio nome: “Skipper”. Sarà un caso, beninteso sarà solo un caso, ma è sempre affollatissimo.
Accolti con premurosità, accompagnati verso salette linde linde, e serviti sempre con gagliarda efficienza (in quella cucina dovrebbero rivelare i propri segreti a chi viceversa impiega ore a servirti…), ecco in menu – con ovvie variazioni quotidiane in base alla spesa sui mercati – il minestrone di verdure, le trenette con pesto patate e fagiolini, la buridda di seppie, la torta Pasqualina, lo stoccafisso in umido (al venerdì 10 chili volano via in un attimo, e chi tardi arriva…).
Mi sbaglierò, beninteso mi sbaglierò, ma non scorgo tracce di cucina molecolare, di piatti destrutturati, né di sifoni.
Chi opti per il menu completo, informazione da non omettere, spenderà 12 euro. Buon appetito a tutti…
Umberto Curti
umberto curti

Commenta