28 ott 2020  | Pubblicato in Ligucibario

Jeans, marinai, facchini e carichi…

scorcio del porto di Genova

scorcio del porto di Genova

A Roma (“Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari Lamberto Loria”), La Spezia (“Museo civico etnografico Giovanni Podenzana” in via del Prione) e sparsamente altrove si conservano abiti popolari liguri in jeans, dal Sette all’Ottocento. A Genova la “Galleria nazionale di Palazzo Spinola di Pellicceria” ospita un presepe dello scultore locale Pasquale Navone, dunque creazione di un atelier databile seconda metà del Settecento, ove appaiono pastori con indosso abiti jeans (e per il presepe ottocentesco, e sabaudo, di Giovanni Battista Garaventa esposto a Palazzo Reale si veda https://www.pharmacom.news/genova/blue-jeans-no-blu-di-genova/ ). A Nervi, presso il “Museo Giannettino Luxoro”, si custodiscono acquerelli dell’Ottocento a firma Antonio Pittaluga (provenienti dal succitato museo di Roma), ove uomini e donne vestono jeans… Ben 14 paramenti sulla Passione di Cristo, alcuni grandi 4×3 m, colpiscono il visitatore nel “Museo Diocesano di Genova”, risalenti al Cinque-Seicento, sono eccezionali testimonianze – controriformiste – di come la tela jeans, in fibra di lino tinta con indaco, venisse utilizzata a supporto per allestimenti liturgico-devozionali, in questo caso ad ornamento del Sepolcro in occasione della Settimana Santa. Visitai una mostra, di cui conservo il catalogo Electa, nel dicembre 1989 a Palazzo San Giorgio, quando la riapertura del porto antico era ancora di là da venire ma Deogratias imminente (occorsero le “Colombiadi” del 1992, cinquecentenario della scoperta delle Americhe). Parte di una collezione privata, quei paramenti allora provenivano dall’abbazia di San Nicolò del Boschetto in Val Polcevera (vennero poi vincolati e acquisiti dallo Stato). Rifacendosi alla severa “Grande Passione” in 12 xilografie del Dürer, l’opera viene ora parzialmente attribuita al pittore zoagliese Teramo Piaggio, avviata intorno al 1538 (https://lacittaimmaginaria.com/i-teli-della-passione-illustri-antenati-dei-jeans/ ). Prima dei coloranti chimici, l’indigofera tinctoria (indaco, al pari del cotone un dono originariamente dell’Asia) era fra le opzioni più ricorrenti, per coprire le macchie, un’alternativa è – come noto – il pastello indigeno, detto anche guado, che diversamente dall’indaco può crescere anche in Europa, ad es. Toscana, Liguria e Languedoc (si vedano sul tema anzitutto i lavori della storica dell’arte Marzia Cataldi Gallo https://video.repubblica.it/edizione/genova/tele-blu-come-si-tingevano-gli-antenati-dei-jeans/147466/145983 ).

Sul finire del Seicento, un anonimo (convenzionalmente il “Maestro della tela jeans“, si vedano gli studi di Gerlinde Gruber) attivo in Lombardia dipinge con estremo realismo in tutti i suoi lavori qualcuno, ora una madre che cuce, ora un piccolo mendico…, con indosso (sia l’indumento ritratto giacca, gonna, grembiule (1) o pantalone) fustagno di Genova. Gli vengono attribuite 8 tele, e forse – da studi recenti – ulteriormente 2 (https://issuu.com/artsolution/docs/cat._maitre_toile_de_jeans_i/63 ).

Levi Strauss&Co. rappresenta una delle imprese d’abbigliamento leader internazionali, con negozi all over the world, ed ha quote di mercato maggioritarie proprio nel settore jeans (grazie al leggendario modello ‘501’) e pantaloni. Questa “madre dei jeans” nacque nel 1853 dall’intraprendenza di Levi Strauss, un immigrato bavarese d’origine ebraica (il più irrequieto di 6 fratelli orfani), giunto in California durante il boom della cosiddetta corsa all’oro, costui a San Francisco avviò infatti col cognato una filiale della società di tessuti (tende, rivestimenti…) che gestiva coi fratelli, ed aveva sede centrale a New York. Il jeans, anzi il denim, che Levi Strauss intuì irrinunciabile per il minatore locale che ogni giorno lavorava di piccone e setacci, fu perfezionamento di un sarto del Nevada (nato lettone) Jacob Davis nel 1871, e brevetto Levi Strauss (n. 139121) del 20 maggio 1873 (2), epoca in cui il deposito d’esclusiva richiedeva un versamento di 68 dollari, che Davis non possedeva. Cowboys, legnaioli, ferrovieri, carrettieri, manovali e salopette, anch’esse funzionali ai lavoratori che dovessero coprire e proteggere anche da piogge il vestiario sottostante, s’aggiunsero subito… I primi output dello stabilimento furono peraltro di un color beige scuro, e i cowboys lamentarono rigature alle selle dovute ai rivetti. In breve, comunque, Levi Strauss fu milionario.

Il resto, di fatto, pertiene già alla storia presente, nel senso che questi numerosi e “sparsi” frammenti di storia in realtà convergono tutti verso quel termine jeans (o blue jeans) il quale oggi individua caratteristici – celeberrimi – pantaloni con rivetti di rame, a rinforzo di giunture/tasche, bottone centrale di metallo, 5 tasche fra cui le posteriori cucite sopra la stoffa, ed etichetta (la salpa) fissata in alto a destra posteriormente. E’ peraltro successivo rispetto all’ideazione originaria il taschino per orologio e monete. La struttura diagonale che intreccia trama e ordito li rende indistruttibili e comodi, poiché s’adattano a forma e movimento di chi li indossa (una tela viene viceversa tessuta incrociando i fili a perpendicolo).

Jeans deriverebbe da una storpiatura dell’antico Jeane/Jannes con cui i francesi alludevano a Genova, e poi da un Gênes anglicizzato; il plurale, tuttavia, si consolida collettivamente nell’Ottocento. Tutto ciò in quanto i tempi antichi solevano indicare i tessuti col nome del luogo di produzione/provenienza, e Jean/Jeane appariva su tante importazioni di fustagno (materiale resistente ed economico) che, sin dal Cinquecento, facevano rotta dal porto di Genova a Londra. Ianuensis ergo mercator, come al solito, malgrado la forte concorrenza di Ulm (fustagni più costosi rispetto a Genova) e di alcune città italiane, fra cui Chieri, che ovviamente esportava da Genova (a Chieri un museo racconta la storia tessile locale, ecco il link)… In quei secoli d’intense compravendite e business, la marina genovese stessa ne faceva largo impiego equipaggiando navi a vela e marinai (l’uniforme di servizio in Marina è tuttora così, e Garibaldi, nell’impresa dei Mille su Marsala del 1860, indossò jeans, oggi custoditi presso il Museo centrale del Risorgimento, a Roma). L’import classificato ai tempi di Enrico VIII come Jeane non era peraltro tutto fustagno, bensì anche velluto ed altro.

Ad esser pignoli, oggi denim (3), o “serge de Nîmes” dalla città francese – occitana – di Nîmes, indica il tessuto, non vincolandolo al blu (4); jeans viceversa lo specifico taglio, indipendentemente dal tipo di tessuto (se ne trovano difatti anche in twill, gabardine, pelle…). Il diffusissimo twill, o saia, presenta infatti anch’esso rigatura diagonale

(1) in genovese “scosalin”, dal longobardo skauz, donde, in edilizia, scossalina

(2) disponiamo di una lettera del 1872 con cui Davis, subissato di richieste e timoroso della possibile concorrenza, convince Levi Strauss a “sposare” il suo progetto…

(3) erede del fustagno, ne differisce quanto a colore dell’ordito: nel fustagno esso è uguale alla trama, nel denim l’ordito è blu e la trama bianca o écru

(4) il blu fu in origine tinta peculiare ad ottenersi, non reputo questa la sede per approfondire tale processo, ma l’anima del filo blu rimane bianca, e per questo i jeans, più consumandosi con l’uso e i lavaggi, schiariscono (per taluni l’aspetto “vissuto” costituisce segno di pregio)

Umberto Curti
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