14 giu 2016  | Pubblicato in Ligucibario

Isolabona 1993, in gita tra frantoi storici

raieu co o tocco

raieu co o tocco

Visitai Isolabona per la prima volta nel ’93, uscii al casello di Ventimiglia diretto a Castelvittorio imbattendomi in quest’isola di cordialità alla confluenza di due corsi d’acqua. Ricordo vagamente le rovine di un castello ducentesco (che presumo appartenuto originariamente ai Doria) e una parrocchiale baroccheggiante… Stretti caruggi mettevano in comunicazione due piazze, disegnando un borgo arroccato, affascinante, circondato da un verde scosceso.
Cenammo, affamati, in una bella trattoria con camino, dove ci proposero frittelle e torte di verdure, ravioli conditi col “tocco”, i maccheroni alla deficeira (cioè alla frantoiana), il capretto e lo stoccafisso in vari modi, la cubaita croccantissima… Non potemmo che abbinare, quasi ad ogni portata, il DOC Dolceacqua, prima il base poi il superiore!
Più nitidamente ricordo inoltre la presenza di vecchi frantoi oleari un po’ su tutto il territorio e dintorni. Oggi so che molti uliveti nella Liguria ponentina scomparvero (così come molti agrumeti), per lasciar spazio al maggior profitto delle floricolture. Ad Isolabona le prime documentazioni circa i frantoi risalgono al ‘500, ma l’economia olearia s’affermò tre secoli più tardi, quando – fra l’altro – l’acqua progressivamente non costituì più un’esclusiva feudale.
Di tanta tradizione trascorsa rimane l’attività eroica degli ultimi artigiani dell’olio (Cassini, tanto per fare un nome), abbarbicati a pochi ettari sù e giù, e a poche centinaia di piante, ma la cultivar taggiasca (“dono” del monachesimo altomedievale?) regala a chi la coltiva e a chi la gusta un mosto senza eguali, con sentori e sapori inconfondibili, elegante ma anche rotondo, appagante, perfetto nell’accostare alcuni piatti della mediterraneità imperiese, le zuppe delicate, i carciofi, il pesce al forno, l’insalata di coniglio…
Umberto Curti, Ligucibario

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