Un caloroso benvenuto a tutti i lettori dell’angolo del farinologo!
Innanzi tutto ringrazio di cuore Ligucibario per lo spazio offertomi nel quale farò del mio meglio proponendo temi, consigli, r ricette interessanti di cui si parla troppo poco.
Come si può intuire, tratterò argomenti riguardanti l’arte bianca, ovvero l’alchimia magica degli impasti che trasforma in golosi capolavori i molteplici ingredienti dei quali possiamo usufruire.
L’arte di “fare il pane” è infatti un antico mestiere, del quale da anni mi occupo con grande passione, e sono lieto di condividerla con voi! Buoni impasti!
Sappiamo ormai con certezza che la pizza, uno degli alimenti maggiormente assurti a icona del nostro Paese, deriva dalla famosa “pita”, cibo tipico di moltissime popolazioni situate sul Mediterraneo. Si tratta di un disco di pasta che veniva consumato cotto e talvolta condito, o addirittura utilizzato come chiave per sapere quando il forno era in temperatura. Dall’Asia giunse in Grecia, e da lì alle coste “italiche” (Calabria…).
Da molti secoli una “pita” che appare antesignana della pizza viene sfornata nei vari borghi situati lungo la costa e il primo entroterra del ponente ligure, compresa anche la città ora francese di Nizza e buona parte della Provenza.
Pissalà, pissaladière o pissala-n-dière sono le versioni forse più antiche (derivanti da “pissalat”= pesce salato) mentre in Liguria il piatto acquista diversi nomi come “pisciadela”(Ventimiglia), “pisciarà”(Bordighera), “machetusa”(Apricale, utilizzando il machetto), “sardenaira”(Sanremo), “vujun”, “piscarada”(Pigna), “figassa”(Taggia) o “piscialandrèa”(Oneglia), a seconda della località dove viene preparata.
All’inizio veniva utilizzata letteralmente come “piatto” sul quale disporre le pietanze da gustare, poi come una vera e propria “pizza” (finger food), precedendo di secoli la famosa “margherita” di Raffaele Esposito, dalla quale differiva in forma e cottura venendo appunto usato un tegame.
Questo piatto è divenuto a tal punto un simbolo di mediterraneità, con ingredienti salubri e tipici della Liguria, che si può ormai considerare un marker gastronomico del Ponente, meritevole di valorizzazione.
Come si fa? Si prepara un impasto simile a quello per la focaccia genovese e, dopo averlo fatto riposare, si stende e si condisce solitamente con olio, sale, poca acqua tiepida, salsa di pomodoro (soltanto dopo la scoperta delle Americhe), aglio, olive, capperi, filetti di acciughe sotto sale (o machetto), cipolla e diverse erbe aromatiche come la ferugura (timo selvatico) o l’origano.
Un’altra caratteristica che lo rende molto digeribile è la lievitazione naturale, utilizzando il “crescente” o “pasta madre”, ovvero il lievito da sempre utilizzato dai panificatori prima dell’arrivo del comune “lievito di birra”, o “lievito fresco”.
Grazie alle molteplici varietà di batteri contenuti nel lievito naturale ed ai suoi lunghi tempi di lievitazione/maturazione raggiungeremo un risultato davvero differente e di caratteristiche organolettiche superiori.
Ciò non toglie nulla al fatto che il più delle volte si utilizzi lievito fresco, di più semplice impiego e con il quale si ottengono comunque buoni risultati.
Che altro dire se non che è una preparazione divertente e semplice, con la quale potete sbizzarrirvi allegramente anche a casa sperimentandone – perché no? – le possibili varianti!
Ecco qui le dosi!
Impasto:
500g farina”00”
10g sale (2%)
300g acqua (60% c.a.)
30g olio e.v.o.
x il lievito:
10g di lievito fresco
oppure
200g max. di lievito naturale – in questo caso si incrementa leggermente la quantità di sale e olio vista la quantità maggiore di impasto-
Alcune versioni vedono anche l’aggiunta nell’impasto di un bicchiere di latte tiepido e di un uovo, notare bene che qualora si decida di metterli diminuirà la quantità di acqua!
Possiamo anche arricchire l’impasto (agevolandone la lievitazione) con malto d’orzo (dall’1 al 3% max.).
Passiamo alla preparazione!
Mescoliamo in una ciotola abbastanza capiente la farina con il sale (se lo usiamo, anche col malto).
Nel caso vogliamo utilizzare lievito fresco aggiungiamo quasi tutta l’acqua, all’impasto e, una volta amalgamato, il restante dell’acqua ed il lievito, questo perché se mettessimo il lievito prima, il sale ne romperebbe la struttura cellulare.
Nel caso invece vogliamo utilizzare lievito naturale lo mettiamo in una scodella, dove versiamo dell’acqua tiepida e dove lo lasciamo 10 minuti per poi unirlo agli ingredienti secchi, regolando l’acqua dell’impasto.
Lavoriamo ancora l’impasto fino a quando non prende la consistenza giusta, e per finire lo “anneghiamo”nell’olio, lavorandolo a tratti fino a quando non si è assorbito.
A questo punto lasciamolo sempre nella ciotola unta, dove lo faremo puntare (primo riposo) una mezz’ora per poi dividerlo in pezzi e procedere con la lievitazione ( almeno 1 ora nel caso di lievito fresco; più di 6 ore per il lievito naturale).
Possiamo stendere la quantità necessaria a mano (come per la focaccia) o a mattarello su una teglia oliata, e una volta che avrà raggiunto tutta la teglia procedere con il condimento e infornare.
Impostiamo il forno elettrico di casa a 220° ventilato, calore dall’alto e dal basso inserendo la teglia nella metà più alta, e cuociamo per una ventina di minuti.
Buon appetito e alla prossima “puntata”!
Luca Traverso
Ciao Luca , mi chiamo Antonietta, ci siamo conosciuti quando facevi il corso da panettiere (io avevo fatto quello precedente): avevamo partecipato all’evento “i canestrelli di Montoggio incontrano il cioccolato” ed io avevo proposto un pane con farina di castagne, ricordi?
Desidero semplicemente farti i complimenti, sei veramente un ragazzo speciale e in gambissima. Umberto Curti ha colpito ancora! Un abbraccio a entrambi compresa Luisa, naturalmente…CIAO a tutti Antonietta