Genovese, dunque mercante… Ianuensis ergo mercator è un postulato, e un apprezzamento, che si fa risalire ad un Anonimo del 1200.
Che l’origine del toponimo cittadino non derivi da Ianua (porta) né da una forma arcuata della sua baia originaria, bensì da Kainua (“città nuova”) pare ormai assodato. Anfore ed altri reperti ne svelano il primo sorgere, fu un emporio commerciale da cui gli Etruschi avrebbero inteso orientarsi verso Massalia/Marsiglia (clicca qui)… Nondimeno, una volta crollata Roma ed esauritesi le scorrerie barbariche, i Genovesi fecero via via della propria città davvero una porta, ovvero un link per lucrosi traffici in tutte le direzioni ed in primis col vicino Oriente. Navigare, ai tempi, era peraltro tutt’uno col guerreggiare e col commerciare, mestiere – per mille cause – rischioso. Le sponde tirreniche verso sud sopportavano infatti le continue aggressioni saracene, con razzie stupri rapimenti, talora segnali d’un tentativo d’islamizzazione dell’intera Europa mediterranea. La violenza – ciclicamente – poteva altresì attenuarsi a beneficio delle interazioni pacifiche, delle compravendite e del business. Profitti crescenti ed alta finanza, così, elevarono Genova al rango di “Superba” per uomini e mura (l’aggettivo è già del Petrarca, 1358).
Documenti custoditi presso gli Archivi di Stato comprovano una costante tensione cittadina verso nuove e ardite rotte, in cerca di genti e di merci, fra cui spezie (leggimi qui).
Il porto, il mare, i mari: in epoca altomedievale e medievale (secoli XII-XVI) si consideri che il 50% delle tasse a vario titolo versate dai mercanti genovesi finanziava proprio il porto, con ricadute socioeconomiche – grazie a quel fisco “etico” – per l’intera città, amministrata con lungimiranza, e che vedeva affluire in piazza Caricamento tutte le migliori mercanzie del mondo sin lì conosciuto, ciò che definiremmo – con un lessico attualizzato dal marketing – i top di gamma.
Sta sempre più venendo alla luce anche l’antico insediamento genovese di San Giovanni d’ Acri (oggi Israele), in specie un vasto edificio pubblico entro il perimetro del quartiere medievale, che aggregava 74 edifici, la chiesa dedicata a San Lorenzo, alcune torri, una strada coperta da volte, un forno e un parco. Acri fu il maggiore scalo della Palestina durante l’epoca crociata (ovviamente vi sbarcavano i pellegrini diretti a Gerusalemme) e la principale base dei Cavalieri di San Giovanni, fino al 1291 anno dell’assedio e della caduta in mano araba. Genova vi ricavava reddito, e deteneva diritti su almeno 1/3 della cittadina e su una porzione del territorio periferico, dove non a caso apparvero tre limiti confinari con la scritta “Ianua”.
Dal passato al futuro?
Che cosa resta di quei secoli? Genova oggi è ancora una città ricca di mercati (clicca qui), e quanto sopra testimonia come sia interessante scoprirla – culturalmente e turisticamente – anche attraverso tali mercati. Tra i banchi e le gastronomie, tra i colori ed il conversare, non solo si trovano prodotti la cui origine d’import “esotico” è svelata sin dal nome (ad es. a Genova la maggiorana è chiamata “persa” in quanto provenne dalla Persia), ma s’incontrano ricette che non avrebbero potuto esistere, o evolvere sino alla forma attuale, senza ingredienti in arrivo da altrove, si pensi allo stoccafisso (leggimi qui), “dono” dei mari del nord, o al pandolce (clicca qui), così ricco di pinoli, uvetta, cedri canditi, ergo così arabo…
Umberto Curti
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