1 dic 2021  | Pubblicato in Ligucibario

Guerre puniche e formazione “moderna”

20190927_182733Ho seguito i giorni scorsi, davvero senza entusiasmo, la “querelle” prodotta da una dichiarazione del ministro Cingolani, secondo il quale al Paese occorre più cultura tecnica, implicitamente – vien da pensare – a scapito di quella umanistica. Alquanto infelice, poi, l’argomento “vogliamo studiare 4 volte le guerre puniche o impartire una formazione più moderna?
Molti ovviamente gli hanno subito controribattuto, e ho apprezzato in modo particolare il geologo Mario Tozzi, che non a caso è un ambientalista autentico, e davvero si spende, anche sui media, in difesa di questo nostro pianeta bellissimo e sventurato.
Peraltro questa “frattura”, su cui ci si è scontrati, periodicamente riemerge. Ma come gli antichi ritenevano la cultura greca e quella latina due fiumi per così dire necessari onde giungere ad un’unica foce, così un dissidio tra sviluppo tecnologico da un lato e scienze umane o sociali dall’altro non ha oggi – come ieri – alcuna ragion d’essere.
Io mi occupo da tanti anni di marketing (in specie turistico), e posso assicurare che la mia quotidianità professionale poggia – contemporaneamente – su numeri e statistiche cartesianissimi tanto quanto su indagini sociologiche e psicografie comportamentali.
Aldilà delle attitudini e degli orientamenti individuali dei giovani, che persino le figure genitoriali sono a mio avviso tenute il più possibile a rispettare e assecondare (l’alternativa sarebbe infatti forzarli e costringerli), il nodo apparentemente gordiano svela una ben diversa emergenza. Che poi in Italia sarebbe quella, rieccola, della “buona scuola” e, last not least, della buona formazione.
Se tali realtà operassero al meglio e, quand’opportuno, sapessero anche dialogare tra loro, quanto sopra diverrebbe chiacchiera da bar.
L’era dell’accesso e la società liquida in cui volenti o nolenti viviamo (cito Rifkin e Bauman) hanno infatti – malgrado le apparenze – costantemente bisogno della riflessione storica, per tornare all’esempio iniziale, perché non si dà società né civilizzazione senza che un “cittadino” venga messo nella condizione di acquisire, oltre ai know-how lavorativi/concreti, anche o in primis quei valori (conoscenza del proprio Paese e di sé, senso morale, spirito critico, gusto estetico…) che di fatto sostanzieranno il suo vivere comunitario.
Mi pare fosse Pasolini a situare – guarda caso – una netta differenza tra sviluppo e progresso… Quanto sviluppo ormai non è progresso!
Circa la scuola si sono spesi tsunami d’inchiostro e, nei decenni, investimenti d’ogni tipo, scoraggia – come si suol dire – ritrovarsi sovente daccapo, con milleduecento criticità irrisolte (i Lettori più autolesionisti leggano, se ancora non lo conoscono, A. Galdo, Ultimi, ed. Einaudi (Torino), 2016).
Circa la formazione, settore che spesso mi vede all’opera, malgrado l’ampiezza della questione due sono tuttora  mio parere le priorità, tenendo presente che molta Italia si caratterizza per microimprese a gestione famigliare: che gli enti (talora emanazione di associazioni di categoria) via via realmente si specializzino su tematiche e figure professionali in uscita, costruendo staff e metodologie didattiche ad hoc. E che consolidino sul territorio forti relazioni col sistema d’aziende, che da un lato può accogliere i formandi in stage, dall’altro può a propria volta rivelare fabbisogni formativi specifici (management, networking, lingue straniere, web/social media marketing…).
A dispetto della sintesi, presumo che ora anche il mio punto di vista sia chiaro. E davvero – malgrado io non sia tout court uno storico (bensì forse ormai un antropologo…) – non mi riesce di visualizzare il futuro che attenderebbe una nazione tutta affollata di digital manager e poco altro. Di un’umanità tutta china sui propri smartphone?
Umberto Curti
umberto curti

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