Ed eccoci qui in direzione ostinata e contraria rispetto alle usuali migrazioni che partono dalla Lombardia per andare sulla Riviera Ligure, ecco tre liguri che imboccano la Strada del vino dell’Oltrepò Pavese.
L’area geografica così denominata comprende una settantina di Comuni e si estende per circa 60 km, è pertanto un condensato di sapori e genuinità: si traversano filari di vigneti centenari, castelli appartenuti a nobili casate, splendide ville ottocentesche e borghi fortificati. Uno di questi ci vale proprio da destinazione finale: Golferenzo, un grumo di case arroccato su un promontorio dal quale domina tutta la vallata, e che si raggiunge assecondando le curve delle sue dolci colline (464 m s.l.m.).
L’insieme di questo borgo medievale costruito principalmente in pietra si propone intimo e curato, gli edifici, seppur alcuni molto antichi, sono stati ristrutturati di recente o sono ben conservati, e la Chiesa di San Nicola si innalza sopra una piazza circondata tutt’intorno da un muro di cinta che “influisce a migliorare l’aspetto del luogo ed a dare maggiore risalto dell’edificio, a conciliare un sentimento di più intenso rispetto al Sacro Tempio” – proprio così, solennemente, la descrive sul suo sito l’Unione dei Comuni Alta Valle Versa di cui Golferenzo fa parte – .
Mentre stiamo per arrivare Luisa ci racconta dei suoi ricordi d’infanzia, quando talvolta – terminato l’orario scolastico – accompagnava il padre a far scorte essendo lui grande estimatore dei vini di questo territorio, e riaffiora in me lo stesso identico ricordo con mio padre, anche se la nostra destinazione differiva: il Monferrato, e quindi come facilmente prevedibile tornavamo con damigiane di Dolcetto e Barbera, mentre qui, come mi spiegava Umberto, risulta più difficile “limitare” l’area a pochi vini, esistendo un’amplissima ampelografia, inclusi alcuni cosiddetti internazionali.
Tra i vini da provare assolutamente: l’Oltrepò Metodo Classico DOCG, il Cruasè (Spumante rosè Metodo classico, che sceglieremo per pranzo) e l’Oltrepò Pavese DOC nelle sue varie declinazioni (i Pinot, lo Chardonnay, e Barbera, Riesling, Malvasia, Moscato…), e successivi “scorpori” (Bonarda, Buttafuoco, Sangue di Giuda, Casteggio, Pinot Grigio e Pinot Nero, per il quale è la prima realtà italiana in termini di estensione).
Facciamo una bella passeggiata nel borgo, sotto un caldo sole di fine settembre, accompagnati con entusiasmo da Valeria e suo marito, una coppia che come tante vive e lavora in una grande città della Lombardia ma qui ha una seconda casa, è legatissima a questi luoghi e non solo vi torna appena può ma li promuove con passione. Ci mostrano infatti lo storico Palazzo Belcredi-Belloni (oggi sede di un centro polivalente creato grazie al progetto Oltrepò Biodiverso), la Chiesa, il castello, i sentieri naturalistici, le attività ricettive (La casa nel borgo, La Corte dei gatti, La Casa del sole, Le rose e le magnolie) e quelle di ristorazione (La pizzeria dell’Olmo Napoleonico, La Baita, e La corte del lupo) salutando per nome un po’ tutti gli abitanti incontrati, anche quelli a quattro zampe (ciao gatto Zenzero!).
Che giunga ora di pranzo me lo ricorda non solo il campanile che rintocca le campane 13 volte ma anche il mio stomaco, che brontola similmente altrettante volte, in fondo sono una persona semplice ed alla mia affermazione “Ho fame” non ho bisogno di gente che risponda “Di già?” bensì “Anche io!”… Capisco di avere intorno a me persone conviviali quando sono da poco passate le tredici e siamo seduti all’Enoteca Corte del Lupo, in uno splendido giardino esterno verandato con vista panoramica, e degustiamo: tagliere di salumi piacentini con giardiniera agrodolce, piatto di formaggi locali di capra Azienda Boscasso con elisir di zibibbo e mostarda, panzanella di verdure con il miccone pavese (Prodotto Agroalimentare Tipico), uno dei pani più popolari del territorio, a base di farina di grano tenero e a pasta dura. Proseguiamo con carne cruda, scaglie di grana e capperi croccanti, tortelli di ricotta conditi con burro e salvia, e come dolce i biscotti tipici della zona: i brasadè, da inzuppare – ça va sans dire – nel Moscato.
Si respira un’aria fresca, merito non solo delle numerose erbe spontanee presenti nel giardino (su tutte la menta fa da padrona) ma anche, mi viene da pensare, dell’entusiasmo e della rinascita che questo piccolo paese sta perseguendo.
Emanuela Baccino