23 mag 2016  | Pubblicato in Ligucibario

Dai ceci, auree farinate, festa grande a Genova Pegli 24

street food, un bel modo di ungersi le dita

street food, un bel modo di ungersi le dita

Mi piace in questi giorni “ampliare” la voce riguardante la farinata – regina degli street food – che tanti appassionati hanno in questi anni già letto, qui su Ligucibario, dentro il mio Alfabeto del Gusto. Se, amico lettore, t’interessa la videoricetta, clicca qui. Tanto più che domenica 29 maggio dalle ore 12 la farinata è protagonista della bella festa che Pegli le organizza tutt’attorno per celebrarla. Buon appetito sul Lungomare e in Largo Calasetta (verificare sempre date e orari). La foto ritrae la golosa vetrina dell’Ostaja San Vincenzo, ex Guglie, in Genova, un affettuoso ciao alla sorridente Cristina…
Umberto Curti

La farinata (“oro di Genova”) è tradizione antichissima. È una delizia semplice, quasi monoingrediente, che un tempo si consumava per il venerdì di magro e il capodanno. Non solo ligure, ma mediterranea, dato che i liguri la condivisero con la Corsica (Bonifacio), la Sardegna soprattutto sassarese (fainé) e ovviamente Carloforte (fainò), dov’è tuttora in vendita nei cosiddetti tascélli, le locali pizzerie al taglio. La chiamano “calda calda” a Massa, “bella calda” in Piemonte, “cecina” a Pisa/Livorno dove si gustava il cinque-cinque * , “socca” a Nice (e “sciocca” sulla Riviera di Levante)… Col nome di calentita si gusta infine a Gibilterra e nel nord del Marocco, un tempo area d’influenza sefardita. Una leggenda la investe direttamente: nel 1284 Genova sconfigge Pisa sul mare, alla Meloria. Nella rotta a ritroso le galere genovesi incappano in una violenta tempesta, tanto che alcuni barili d’olio e sacchi di ceci ammassati sulla tolda si rovesciano, mescolandosi all’acqua marina che a ondate “dilava” la coperta. Le scorte alimentari non abbondano, e – passata la tempesta – si tenta perciò di ricavar qualcosa dal disastro, facendo asciugare al sole l’impasto, che ormai s’è trasformato in una “polenta” giallastra. Da secca, pare saporita, e da lì l’idea, una volta sbarcati, di testare quella scoperta assolutamente casuale dentro i forni a legna, chiamandola, beninteso per irridere i pisani battuti, “l’oro di Pisa”… Va da sé che i pisani raccontano, dal proprio punto di vista, analoga vicenda.
DSCN3348Documenti del 1447 svelano inoltre l’antico suo nome di scripilita, dal latino scribilita=sorta di focaccia con formaggio, il Belgrano la scova nel De re rustica (LXXVIII) di Catone. Quella di zucca è poi variante molto apprezzata ad es. a Genova-Sestri Ponente, con farina di grano e zucca gialla (non mantovana). Si noti però che nell’adiacente Pegli la farinata (cui dedicano vivaci sagre) è anzitutto quella classica con la farina del celebre Mulino di Granara, in val Varenna… Quanto al basso Piemonte un tempo d’influenza ligure, i ceci della Merella, frazione di Novi L. (AL), hanno ricevuto la de.co., e sono quindi in corso varie iniziative affinché i farinotti novesi realizzino le loro farinate con la eccelsa farina di ceci de.co.
La cottura, rituale nei tegami di rame stagnato, richiede 15 minuti in forno a legna (d’olivo *** ), fuoco sopra. Nei secoli, ci si è poi sbizzarriti con varianti – più o meno golose… – che prevedevano i bianchetti (“törtellassö” di Noli e del savonese), le cipolle e il pepe (“main” d’Imperia Oneglia), i carciofi, la salsiccia, il rosmarino… I genovesi – che tuttora escono dai ristori chiamati törtâe o faïnotti o sciamadde (fiammate) **** con la classica peppià in mano (peppià è il cartoccio, da papirus) – amano più di tutte la farinata “d’orlo”, e non di rado l’accompagnano con un bianco di Coronata. Di farina di ceci sono anche la panissa, in insalata o fritta (a Savona la dispongono a fette nei panini), e le vere e proprie frittelle, i cuculli *****, nei cuculli aggiungendo lievito di birra, e il vino migliore può allora diventare una bollicina vivace (che sgrassi), sempre alla giusta temperatura e nei giusti calici
* cinque soldi di cecina e cinque soldi di pane
** “I ceci si coltivano in maggiore quantità delle lenticchie, perché oltre all’esser consumati allo stato secco nella stagione invernale dalle famiglie rurali, vengono ridotti in farina e versati sui mercati dei vicini paesi. E’ con la farina di ceci che in Liguria, ed in Genova specialmente, si confezionano le così dette farinate o torte, companatico sostanzioso e nutriente prediletto dai popolani”, è una citazione dal decimo volume degli Atti per l’inchiesta agraria del 1884
*** bene il faggio, il frassino, il rovere, il nocciolo. Meno bene il castagno, che scoppietta e potrebbe lasciare (lanciare) frammenti nella teglia
**** vico del vento (fra porta d’archi e san matteo), scomparso nel ‘600 a causa di rivoluzioni urbanistiche, ne era costellato, per la “vendita di panisette e friscioli alla marmaglia”. E ancora si rammentano Baciccia in Santa Zita, la Bedin cantata dal Carbone, un certo Menego che dalla porta gridava per attrarre i passanti…
***** cucullus è un cappuccio, di forma un po’ “gonfia”

 

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