17 ago 2021  | Pubblicato in Ligucibario

Comuni, web e social (2^ parte)

087Riprendendo il tema là dove l’avevamo in qualche modo lasciato nella 1^ parte (link qui) di questo “speciale” (abbiamo analizzato i 234 siti dei Comuni liguri), noi non apparteniamo a coloro i quali affermano che ormai sul web la forma è tout court il contenuto. Non si nega né si discute qui, ovviamente, il predominio della visualità, né il fatto che i “consumi” digitali siano oggi rapidissimi, usa-e-getta, e pertanto quasi sempre superficiali: questi fenomeni sono sotto gli occhi di chiunque, nell’era dei big data ogni clic determina una tracciabilità e via via una profilazione, e d’altronde il web sin dalle origini ha denotato caratteri specifici e perennemente in progress. Tuttavia, non è pensabile conformarsi ai trend riducendo l’intera infocomunicazione territoriale/turistica a video di pochi secondi, a riprese coi droni senz’alcun accompagnamento esplicativo, a campagne e claim meramente d’effetto (più adatte a prodotti commerciali)…

I siti dei Comuni, va detto a loro difesa, scontano “istituzionalmente” una criticità di fondo, ovvero quella di doversi rivolgere contemporaneamente a target diversi: i cittadini non sono i turisti. Ciò peraltro “aggrava” il fatto che su molti di tali siti scarseggino contenuti sulle tradizioni e i prodotti locali (i cittadini infatti potrebbero in prima persona farsene promoter presso turisti e gourmet…) e collegamenti ai social (specialmente ad alcuni, che ove non adeguatamente presidiati “penalizzano” la performance del sito sia in termini di interazione coi cittadini sia in termini di promotion turistica).

Molti di tali siti comunali propongono un’architettura rigida e – parzialmente – obsoleta, talora labirintica, poco user friendly, con sezioni in mediocre sinergia le une con le altre, e con testi turistici i quali sovente non riescono compiutamente rappresentativi della località. Intendiamo dire che un sito non è un dépliant, e pertanto le elencazioni descrittive di beni culturali ecc. risultano poco suggestive e poco evocative. Si rammenti la regola del come più che del dove: il turista, caso per caso (heritage, outdoor, food&wine…), oggi non ricerca la “quantità” dei beni presenti in loco, bensì la coerenza di tali beni con ciò che egli desidera – fare – in vacanza: centri storici, escursioni, sport all’aria aperta, safari fotografici, esperienze culinarie… Il turismo esperienziale ha da anni sancito questo predominio delle attività sulle destinazioni pure e semplici, l’ospite invoca autenticità, genius loci, momenti relazionali, chiede di immergersi nelle nostre quotidianità, di esperire, di agire…

Deflagra, in tal senso, la necessità di siti che inizino a favorire il dialogo col potenziale turista, che lo chiamino all’azione, invogliandolo a saperne di più, a richiedere informazioni, a scaricare brochure, a compilare form… Se una località si rivolge tradizionalmente a clientela estera, entrano poi in gioco le traduzioni quantomeno in lingua inglese, le urgenze dell’interculturalità, l’attitudine a riscontrare just in time le richieste e i peculiari desiderata delle persone. Il cosiddetto one-to-one marketing esorta ormai (da decenni) a personalizzare non solo i servizi bensì anche la comunicazione rivolta ai potenziali ospiti, come un sarto che confezioni l’abito a misura di cliente, facendolo sentire speciale. Si è infatti via via transitati, come notò Chris Anderson, da un mercato di massa (indicativamente sino agli ’60-’70…) all’attuale massa di mercati, al cui interno individuare i segmenti/le nicchie di domanda maggiormente interessati all’offerta; e dunque anche le sezioni turistiche di un sito comunale dovrebbero fornire non tanto pochi contenuti (generici) a chiunque, bensì molti contenuti (specifici) a chi può esserne davvero attratto.

Last not least, e specialmente nella stagione che – incrociando le dita – ci vede lentamente fuoriuscire da una pandemia, su molti siti comunali latita il tema della sostenibilità ambientale. E ciò non è lacuna da poco, tenendo presente che la sensibilizzazione e il commitment dei cittadini (e dei villeggianti stagionali) costituisce il primo requisito di una valida politica di tutela dei luoghi. “Wildlife stays wildlife pays”, proverbiano gli americani, e personalmente ci è capitato di vedere, su sentieri altoatesini, ammonimenti quali “la natura ha impiegato millenni per regalarti tutto questo, tu puoi rovinarlo in un attimo”. Il tema – pienamente politico – della sostenibilità, la quale impatta sia sulla vita d’ogni giorno dei cittadini che su quella stagionale degli ospiti, propone urgenze non più posponibili, a maggior ragione là dove incendi, alluvioni, siccità, grandini (disastri di un cambiamento climatico ormai in atto ma per alcuni ancora invisibile) pongono a repentaglio non solo l’economia bensì l’avvenire stesso di alcuni territori. La “teoria del vetro rotto” sottolinea come in un luogo degradato e mal tenuto chiunque possa purtroppo sentirsi quasi “legittimato” a vandalizzare e sporcare, mentre un luogo ben organizzato e pulito induce comportamenti corretti. I siti dei Comuni non dovrebbero quindi limitarsi a precisare tariffe e scadenze di una tassa rifiuti o modalità di smaltimento di oggetti ingombranti, bensì concorrere ad una vera e propria formazione alla salvaguardia ambientale, che responsabilizzi anche i turisti, la cui impronta ecologica (si pensi a Rimini…) è talora assai pesante.

Ci riferiamo ai consumi idrici, al rispetto delle pedonalizzazioni e delle aree fragili(1), all’utilizzo dei mezzi pubblici, alla raccolta differenziata, al rispetto della flora e della fauna… A tutto ciò che, durante la permanenza, differenzia una vacanza green e consapevole da una inquinante e menefreghista.
(1) ho lungamente plaudito all’iniziativa di Daniele Buschiazzo, sindaco di Sassello, il quale per la giornata di Ferragosto 2021 ha interdetto alcune aree verdi del territorio a tutti i mezzi a motore…
Umberto Curti
umberto curti

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