Quando, alcuni anni fa, la televisione passò al digitale terrestre, di colpo – decoder permettendo… – trovammo sintonizzabili alcune centinaia di canali, gran parte dei quali ci erano del tutto ignoti. Sperai quindi, occupandomi professionalmente di enogastronomia, d’imbattermi in molte trasmissioni dai validi contenuti. Debbo purtroppo affermare che in realtà quella montagna, come si suol dire, partorì un topolino: pochi i format interessanti, rari gli spunti storico-culturali su prodotti e piatti, perfettibile il corredo d’informazioni circa l’uso, e i profili nutrizionali, di questo o quell’ingrediente…
Ieri sera sul canale 33 la replica di una puntata di “Food Advisor” ha portato Simone Rugiati a Genova, in cerca – come stupirsi? – di pesto. Libero – come sempre – da pregiudizi, con piacere ho seguito il tour del conduttore attraverso 4 accoglienti locali, alquanto diversi tra loro, di cui uno “da asporto”. Si è trattato de “La voglia matta” a Voltri, la “Trattoria della Raibetta” nel centro storico, “Pesto bene” in via San Pietro della Porta, e “Marin – Eataly” proprio al Porto antico. “Pesto bene” è – a differenza degli altri 3 – non un ristorante bensì un ristoro che ha “brevettato” un finger food assai goloso, si tratta di quadrettoni di focaccia opportunamente “sagomati” e riempiti di pesto, per l’asporto.
Tutti i 4 sfidanti, per la puntata televisiva, avevano eseguito in diretta un pesto al mortaio (“Pesto bene” con un pestello elettrico che rotea dolcemente), e debbo dire che in questi anni – si avverte – è molto cresciuta in città, anche grazie ai flussi turistici, la consapevolezza circa questa gloriosa salsa a crudo, che poggia tutti i suoi valori proprio sulla qualità della materia prima e sulla delicatezza dell’esecuzione (il calore elettrico dei frullatori, come noto, ossida gli olii aromatici della pianta…). Mi riferisco alla successione in mortaio degli ingredienti, alle caratteristiche del basilico (DOP, giovane, a foglioline piccole), alla stagionatura dei formaggi (grosso modo 18-24 mesi il parmigiano DOP, 10 il pecorino DOP), all’utilizzo pinoli pisani/italiani, di solo olio extravergine, preferibilmente ligure (cultivar taggiasca ma anche ovviamente lavagnina)…
Ha vinto la “Raibetta”, antica trattoria dei carruggi, con le sue trenette avvantaggiate, che peraltro (e con mio sommo disappunto) realizza un pesto senza pecorino sardo, il quale viceversa è uno degl’ingredienti – l’altro è l’aglio (un nutraceutico) – attorno al quale, per ragioni storico-commerciali, via via presumibilmente il pesto prese forma.
Nel complesso, ho assistito ad una gradevolissima puntata, e ad una competizione di buon livello, che ha reso onore all’oro verde della “Superba”. Fatti salvi alcuni dettagli, che mi vedono perplesso (l’etimologia delle trenette * , il pesto cotto dentro i tortelli ** , il vino rosé in abbinamento *** ), vi suggerisco ove possibile di recuperare la puntata online, e buon pesto a voi tutti, amici lettori, soprattutto in questi giorni difficili.
* trenetta origina da piccola trina, treccia (di tessuto). Il tema dei nastri e cordoncini di stoffa ricorre più volte (anche) nella cucina ligure, si pensi alle fettuccine e alle picagge. “La voglia matta” di Voltri ha viceversa condito le classiche troffiette, saggiamente specificando che per i Genovesi le troffie erano gli gnocchi…
** lo chef del “Marin” utilizza il pesto come farcia dei tortelli (dunque rapidamente lo cuoce), e completa creativamente il piatto con una crema di patate e alcuni fagiolini tagliati a freddo in listarelle minutissime
*** per l’abbinamento privilegio sempre l’aromaticità dei Pigato, o fuori regione dei Sauvignon, delle Malvasie, finanche dei Riesling. Tengo viceversa i rosati per quei piatti di pesce che – in Liguria e altrove – impiegano pomodoro, ortaggio che cuocendo trasforma il profilo organolettico delle pietanze
Umberto Curti
6 apr 2020 | Pubblicato in Ligucibario
C’è pesto per voi
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