Il 22 maggio si celebra la Giornata mondiale della biodiversità. Un tema, ed un valore, quanto mai attuale, e che s’intreccia ad aspetti culturali (di tutela) e promozionali (di valorizzazione) circa quel che autenticamente contraddistingue un territorio – e coloro che lo lavorano – .
I prodotti DOP, in tal senso, raccontano l’essenza dei luoghi di cui sono caratteristici, certificano in senso oggettivo le proprie peculiarità, garantiscono il consumatore finale, e possono attrarre turismo di qualità.
Al Festival del basilico di Prà/Profummo de baxaicò, sabato scorso ho vissuto – malgrado le previsioni meteo – un buonissimo tempo, arricchito dal confronto con le numerose persone che sono venute ad ascoltare il mio speech “C’è pesto per te. Storia di un mito”, e lusingato da quel che mi è stato proposto in assaggio e infine donato.
Un Festival non è un mercatino né una sagra, deve comprendere un programma collaterale di eventi, approfondimenti, degustazioni guidate…, per fornire ai visitatori un idoneo corredo di notizie e contenuti, tanto più oggi, stagione di consumi massificati e poco consapevoli.
Ringrazio dunque con parole sincere e non formali Stefano Bruzzone, infaticabile factotum della manifestazione e perfetto ospite, gli staff che hanno reso confortevole e dinamica la mia “scena” di lavoro, ed infine Eleonora Baroni (esperta di cucina e chef a domicilio), che mi ha intervistato sui temi che più mi stanno a cuore, quella etno-gastronomia con cui spero d’aver intrattenuto piacevolmente il folto e attento pubblico, fra cui alcuni “anziani” Praini legatissimi al proprio luogo natìo e alle tradizioni tramandate di padre in figlio.
Pesto, savore d’aglio…, in origine una sorta di oro verde con cui accompagnare pesci e carni, non di rado un po’ maleolenti. Il mortaio che fungeva anche da fermaporte e da vaso per le piante (e figurava nella dote nuziale), il pestello che poteva essere a due teste, l’aglio che disinfetta, il sale grosso che conserva, e formaggi che giungevano dalla Sardegna/Corsica, dirimpettaie commerciali della Repubblica di Genova. Ma la massaia operava con quel che aveva a disposizione, voilà dunque anche i cosiddetti “pesti d’inverno”, quando il basilico cedeva il passo ad altre erbe, a fagiolini, a spinaci, e talvolta nelle campagne il burro risultava più avvicinabile dell’olio d’oliva (ecco perché chi riflette sulla storia non trova “scandalosa” l’affermazione di Davide Oldani)…
Poi apparve (1863) il primo ricettario di cucina genovese, a cura di quel Giobatta Ratto che precedette di 28 anni Pellegrino Artusi ma che nella prima edizione non disdegnò, per il pesto, il formaggio olandese… Genova, nella seconda metà dell’Ottocento, vide la nascita delle serre, l’expo colombiana del 1892, via via la competizione fra grandi pasticceri (Preti, Klainguti…), e last not least l’inaugurazione del Mercato Orientale (1899), oggi tornato in auge grazie alla ristrutturazione di ampi spazi.
Genova trendy. E la ferrovia, da Prà, trasportava verso le città padane del nord innumerevoli “corbe” e “banastre” di verdure praine, fra cui profumato basilico, mediterraneità pura. Erano altri tempi. Ma occorre fare in modo di non disperdere alcune eredità preziose che quei tempi ci hanno generosamente lasciato, il rischio – viceversa – è che nulla sopravviva, dentro un futuro privo di memoria anche enogastronomica.
Umberto Curti