9 giu 2021  | Pubblicato in Ligucibario

Artigianato, se ci sei…

016In una newsletter, inviatami da CNA, recupero la presentazione del “disegno di legge per il rilancio e la valorizzazione dell’artigianato artistico tradizionale”. Fra i contenuti prioritari individuati legislativamente, il riconoscimento giuridico della bottega storica e artigiana; una cedolare secca sul reddito da locazione di unità immobiliari adibite a laboratori per arti e mestieri; la formazione e l’apprendistato; un marchio di qualità per i prodotti; la regolamentazione dell’hobbismo.
Occupandomi da tanti anni di territorio e turismo, l’artigianato (al pari dell’enogastronomia) è per natura un mio àmbito d’intervento consulenziale. Me ne sono occupato internamente a progetti regionali ed europei, ad eventi di portata nazionale (Festival nazionale del biologico a Varese Ligure, 2015…), a pubblicazioni di marketing, sempre auspicando per le produzioni artigiane un ruolo assai maggiore dentro l’offerta turistica e culturale ligure (“vie artigiane” ed altro)… Tanto più in un’ottica di fruizione dei territori davvero autentica, sensoriale ed esperienziale.
Da un protocollo fra CNA Liguria ed Università degli studi di Genova (dip. Economia, corso in Scienze del turismo) discende non a caso anche quel laboratorio formativo di 24 ore, sul turismo esperienziale connesso all’artigianato, che da 5 anni tengo con Luisa Puppo presso il Polo imperiese, e che nella quarta edizione approdò anche ad un volume, redatto in gran parte dagli studenti.
copertina foto 2Credo che quanto sopra sia “prova” bastante dell’attenzione che rivolgo a produzioni (e botteghe) nelle quali la passione e l’impronta dell’uomo sono davvero ancora centrali, a produzioni che rappresentano l’antitesi della serialità industriale, la quale talvolta standardizza sino all’anonimia i propri output… Occorre tuttavia precisare che, già in epoca ante-covid, fra tante italiche crisi anche l’artigianato aveva denotato quasi 166mila chiusure in 10 anni (clicca questo link); ciò a conferma di una fragilità del comparto, caratterizzato quasi in toto da modelli di microimpresa famigliare. Non è questa la sede per tornare su tali vulnerabilità (quanto meno di management e di marketing), che espongono l’artigianato italiano anzitutto all’assalto costante dei gruppi oligopolisti, dei competitor sovradimensionati, dell’e-commerce. Basti dire che le regole di ieri non valgono più in un contesto di accelerazioni e turbolenze violente, di nuove logiche distributive, di battaglie basate solo sul prezzo…
Come intervenire, dunque? Chi fa il mio mestiere adotta il detto “chi ha tempo non aspetti tempo”, ed anche in questo caso urgono misure più che mai tempestive (come per altri comparti, le tutele corporative e le rendite di posizione stanno da anni mostrando la corda). Se il turismo può costituire (originando clientela ed elevando reputazioni) un possibile volàno di business – integrativo – , e così in effetti è, occorre allora che gli artigiani vi si volgano più consapevolmente e sensibilmente. Sono – da tempo – decine e decine i casi-studio di successo (i benchmark) cui ispirarsi, e lo “spionaggio industriale” rivela che le buone prassi altrui sovente valgono/varrebbero anche qui, beninteso contestualizzandole… Basta un poco di curiosità e digitando su Google “artigianato e turismo” appaiono quasi 10 milioni di risultati, da Volterra a Pinerolo, dal Veneto alle Marche…, e forme di trekking urbano fra atelier e negozi di prossimità che dimostrano come “fare rete” faccia la differenza, e come l’autentico made in Italy rivitalizzi borghi, ospitalità, brand e…fatturati.
Ma l’artigianato che s’apre ed accoglie 1)deve padroneggiare (almeno) la lingua inglese, 2)deve presidiare web e social media così da dialogare con gli interlocutori già online, 3)deve denotare idonee capacità di storytelling, perché gli ospiti chiedono sempre più di conoscere a fondo le comunità locali (e le loro quotidianità), chiedono racconti, emozioni, relazioni umane, genius loci…
In altre parole, l’artigianato deve investire in formazione, deve credere nel lifelong learning assai più di quanto non abbia sin qui fatto, deve convincersi che esistono occasioni di training operative, concrete, non teoriche e distanti, e che un'”aula” è talvolta il miglior luogo per apprendere, porsi in discussione, confrontarsi con colleghi, migliorarsi, cogliere le nuove sfide del mercato.
Chi c’è, vi prego, batta un colpo.
Umberto Curti
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