15 gen 2018  | Pubblicato in Ligucibario

Arrivederci a Pontedassio  

la regina di Taggia e dintorni

la regina di Taggia e dintorni

Non conosco a fondo Alessandro Giacobbe, ci siamo incontrati appena qualche mese fa (avevo letto alcuni suoi studi sul web). Ma la sensazione che sempre mi trasferisce è quella di un innamorato della propria terra, sulla quale ha scritto non a caso cose assai puntuali e sapienti.
Di recente ha accolto Luisa e me nella sua casa di Pontedassio, presentandoci la gentilissima moglie peruviana e il figlio, un “ciclone” in tenera età, irrefrenabile, molto socievole.
E’ una casa di entroterra, dentro un paesaggio alla Biamonti, soprattutto muretti a secco (maxèi) e ulivi, intervallati da orti e frutteti. Vi regna un gran silenzio (a parte qualche abbaio di cane), odore di erba, di legna, salite sempre verticali, il mare parrebbe lontano lontano, occorre seguire il torrente Impero (che donava apprezzate anguille da frittura) per individuarlo.
Abbiamo vissuto un quieto pomeriggio, tra focacce e Rossese di Dolceacqua, dulce de leche e una vendemmia tardiva di Lugana (più minerale che stucchevole), ogni tanto consultavamo qualche libro della sua preziosa biblioteca, i vitigni locali indagati con Alessandro Carassale, le microstorie dei cento paesi (e campanili) tutt’intorno aggrappati alle colline, una Liguria svelata e pur sempre misteriosa persino a chi, come me, è genovese e la indaga, con trasporto, da decenni…
Mancavo Pontedassio da un’eternità, colpevolmente. La ricordavo – in estrema sintesi – soprattutto per i reticoli di percorsi attorno alle direttrici del sale verso il Piemonte (d’estate io frequento Garessio), per il castello-museo di Bestagno, per gli edifici della celebre famiglia pastaria Agnesi (Pontedassio patria dei fidelén) * , per il machetto, e per alcune tradizioni legate alla pasta fresca, al pane e ai biscotti all’olio aromatizzati (Pontedassio patria anche di antichi forni).
Anche Alessandro cura un orto e produce – per gli amici – un olio extravergine, quest’anno il raccolto non è stato dei più semplici, le piante hanno sofferto il secco, ma anche stavolta, vivaddio, i giovani monocultivar taggiasca, malgrado un po’ di pungenza, come sempre si confermano dolci, puliti, gentili. Alessandro mi fa dono anche di olive denocciolate e paté di Viani, un nome una garanzia come tutte le aziende che perpetuano il terroir da secoli (Viani vanta terreni anche a Candeasco, altra area “cru”, vocatissima, il suffisso del toponimo rivela una romanità, certamente già agricola).
Luisa scatta qualche foto con lo smartphone epperò, intanto, un po’ tutti verosimilmente ci domandiamo: ma l’avvenire non risiede anche nella memoria? La Liguria non dovrà ripartire proprio dalla custodia e valorizzazione delle proprie radici? Chi osserva Pontedassio, possedendo occhi per vedere, scopre ogni volta quanto queste terre siano vive, vitali, vivificanti, perfette per un turismo slow, consapevole, gourmet, purché non si miri a snaturarle in nome di chissà quali alternative e traguardi.
Arrivederci a Pontedassio, dunque. Quali valori migliori per il nostro brindisi conclusivo?
* il museo, sorto nel 1824, ormai purtroppo è chiuso (lo studioso onegliese Lucetto Ramella ne auspicò un ritorno quantomeno a Imperia). Le raccolte e le documentazioni sono a Roma, se non erro si possono ammirare/consultare, grazie a cortese prestito della Fondazione Agnesi, in occasione di mostre e iniziative tematiche coerenti.
Umberto Curti

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