Archeogastronomia: tra cultura, storia dell’alimentazione e genius loci,nuove stagioni multidisciplinari per l’archeologia del Mediterraneo, fuori dai luoghi comuni.
Il terzo weekend del mese di giugno celebra le Giornate europee dell’archeologia.
Si tratta di ricorrenza che non mi lascia indifferente, chi mi conosce sa infatti che nel 2010 pubblicai Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio in cucina (con dizionario di tecnica gastronomica latino-italiano) e nel 2012 Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana. A questo link, amici Lettori, i possibili approfondimenti. E se il piacere di un autore diventa quasi sempre piacere del lettore, questi sono stati i due saggi che ho più amato scrivere…
Archeogastronomia: gli usi alimentari di una comunità sono la strada per conoscerla
What remains of those books? Rimane una costante passione per l’archeogastronomia (disciplina, ahimé, ben poco praticata in Italia), poggiata sulla convinzione che forzatamente siamo ciò che mangiamo, e che gli usi alimentari di una comunità (in base a quel che seppe coltivare, allevare, pescare, commerciare…) sono tuttora la strada maestra per conoscerla davvero.
Che vi sia, come affermò il romanziere partenopeo La Capria, più storia in un’onda del Mediterraneo che in tutti gli altri oceani messi assieme? Io ebbi la fortuna di conoscere Gino Veronelli, reputandolo – ancor prima di conoscerlo – uno dei massimi antropologi del nostro tempo. Il rispetto della natura, del territorio, delle tradizioni, ovvero la grande lezione che da costui, al presente come al passato, ereditiamo, mi pare tanto più centrale oggi che ci tocca vivere nell’antropocene, quest’epoca nefasta in cui l’uomo, credendosene il centro, non smette di devastare il Pianeta che lo ospita…
Archeogastronomia: l’archeologia “fuori” dai luoghi comuni
L’archeogastronomia rappresenta inoltre una delle migliori strategie per svecchiare l’immagine dell’archeologia, troppo spesso “confinata” sotto polveri e dentro musei (talora poco o nulla visitati). Spero si siano estinti coloro i quali tout court reputa(va)no il marketing nemico della cultura, senza accorgersi che senza marketing la cultura progressivamente è solo costo e mai profitto, e finisce con l’autorecludersi…
Ben vengano dunque nuove stagioni, interdisciplinari, dove un sapere contamini positivamente l’altro, dove i musei si rianimino aprendosi ad esperienze innovative, sensoriali, young-oriented.
Archeogastronomia in Liguria? Sì, grazie!
Chi legga Ligucibario® (e da tanti anni non siete poi pochissimi) sa bene che l’archeogastronomia di cui parlo vi fa continuamente capolino: a farinata ho sempre abbinato scripilita, grazie al machetto ho sempre rievocato il famoso e non famigerato garum (anzi, i garum), i miei storytelling sul pesto hanno sempre menzionato il moretum, capponadda potrebbe legarsi alle cauponae (locande), e la spungata di Sarzana (e della Via Francigena) non a caso al vocabolo spongia=spugna…
Il porto di Genova (Kainua) fu emporio vitale sin dall’epoca delle rotte etrusche, e la città che un intellettuale come Petrarca poi definì “Superba per uomini e per mura” è quella dove ancora vige il detto Ianuensis ergo mercator, lo sfarzo dei palazzi – inclusi quelli che chiamiamo Rolli – derivò direttamente dal dominio mercantile. Col top di gamma, ai moli approdavano beninteso anche uomini d’altre culture, vestimenti, sapori, abitudini, e Genova storicamente seppe accoglierli bene, per “amalgamare” ciò che recavano. Un heritage dal potenziale poderoso anche in funzione all’archeogastronomia.
L’avvenire si fonda anche sulla memoria, che poi è l’antitesi di quella omologazione che tutto appiattisce standardizza, ed io sono fra coloro che tanto si batterono perché Genova, attorno al suo recuperato porto antico, si volgesse al turismo. Deogratias, mi pare che buona strada sia stata percorsa.