Salume della Val Polcevera (GE) e della Valle Scrivia, ovvero Sant’Olcese e Vobbia, realizzato con “residui” più nervati – cartilagini filacciose – , che in anni recenti ha beneficiato di una convinta “riscoperta”. Un tempo, addirittura, con un dono di mostardella si domandava in isposa l’amata.
Ottenuta da carni e grasso di suino e bovino conciate (sale, aglio, pepe, conservanti) e insaccate nel budello bovino naturale * , affumicata e stagionata per una settimana circa, viene consumata – a fette spesse – cruda, o scottata in padella (anticamente su stufe), con uova, deliziosa nelle sue sfumature di gusto che talora arricchiscono anche i sughi di carne o pomodoro. Antica, di nicchia, oggi confezionata in fila da pochi etti, trova un’analogia nella mustardela della Val Pellice torinese.
* nell’industria salumiera, il budello può esser naturale o artificiale. Il naturale “traspira” meglio, l’artificiale – ottenuto da fibra animale oppure vegetale – è perfettamente sterile e inodore, non contiene grassi e permette di conservare le dimensioni originarie del salume. La scelta varia in base al tipo di salume da insaccare. Termini come crespone, filzetta ecc. si riferiscono tutti ad un budello ottenuto con intestino.
Umberto Curti