14 apr 2015  | Pubblicato in Ligucibario

Agostino Gallo, chi era costui?

16.2Agostino Gallo (Cadignano (BS), oggi frazione di Verolanuova, ante 14 maggio 1499 – Brescia, ante 6 settembre 1570) è stato uno dei più acuti e prolifici agronomi italiani, confermando una trasformazione della disciplina allora in atto sulla scia dello spagnolo Gabriel Alonso de Herrera (1475-1540 (1)) e del letterato fiorentino Luigi Alamanni (2). Trasformazione che approda al Rinascimento via via cartesiano, e che dai principi agronomici trae spunti anche per l’educazione sociale. Gallo ci scruta da una bella tela ottocentesca di Gabriele Rottini. E’ tuttavia del 1564, o secondo altri del 1550, la più nota e fortunata delle sue opere, Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa. Sarebbe stata un bestseller ma Gallo ne trasse peraltro modestissimi benefici economici, a causa di edizioni abusive tirate nei primi mesi a Venezia, al tempo la contraffazione si faceva dunque già beffe del copyright. Il trattato è in forma di dialogo e vi abbonda l’intento retoricamente suasorio, là dove il vivere e lavorare in villa viene descritto come assai più redditizio del commercio. Se il latifondista investe in senso imprenditoriale, e se si organizza in senso manageriale (dando egli per primo l’esempio ai lavoranti), la campagna diviene il luogo di un capitalismo razionale, attento alle stagioni, al costo della terra e della manodopera, alla domanda fluttuante di mercato, al peso e alla misura, alla rotazione ben programmata delle culture, all’aumento delle rese quando non stressa le piante, al risparmio sulle semine (che squilibrano il bilancio), alla zootecnia, alle produzioni casearie, all’introduzione di piante industriali, alle diverse concimazioni, alla consociazione fra ortaggi… Un luogo dove si studia, si compara e si sperimenta. E infine un luogo dove ci si rilassa, anche con rassicuranti conversazioni e feste open air, tipiche di gentiluomini cosmopoliti, che vivono se stessi già in senso glocal (in Veneto sono gli anni di Palladio…). La vita in villa rappresenta dunque l’esistenza rasserenata, ma densa di impegni e di significati. Gallo è – da una parte – degno epigono dei tanti ruralisti latini “esiodei”, in primis quel Lucio Columella (autore di un celebre De re rustica), che incontrereste ripetutamente nel mio Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio in cucina, ed. La Vigna, Genova, 2010; dall’altra il teorico delle tecnologie, dei moderni impianti e canalizzazioni che via via permettono di irrigare una Padanìa non più vocata solo al grano, ma anche ai foraggi, indispensabili per allevare il bestiame e quindi per ottenere latte abbondante e produrre buoni formaggi. S’innesterebbe qui, storicamente, la tradizione “vaccina” del grana padano e del parmigiano reggiano, da Lodi a Parma via Piacenza (a Genova quel formaggio importato si chiamò a lungo “piasentin”). Ma la Lombardia, alpina, prealpina e pianeggiante, via via poté costruire nel tempo un “tagliere” di formaggi invidiabile e invidiato. Nel frattempo giungono in Europa le innumerevoli “acquisizioni” dal Nuovo Mondo (il granturco soprattutto), accanto al riso, a suo tempo introdotto dall’Islam in Spagna, agli agrumi, ospitati allora come oggi nelle attrezzate e belle serre sulle sponde del Garda, e al prezioso gelso, per i bachi della seta, risorsa sin lì diffusa principalmente nel solo Mezzogiorno. Tali acquisizioni – patate, pomodori, zucchine, fagioli, peperoni… – capovolgono i menu mediterranei e talvolta nelle campagne spodestano l’alimento preesistente, si pensi alla castagna. Il granturco, in particolare, si ambienta così bene in Veneto che la popolazione, nutrendosi quasi solo di polenta, ben presto cade vittima di diarree, dermatiti e demenze (ovvero della pellagra). Ma Gallo analizza anche i processi di vinificazione delle uve (l’Italia del tempo si mostra più arretrata della Francia), spronando un’evoluzione che renda i mosti italiani, sin lì cancaroni da osterie infime, più garbati e profumati, meno vinosi e acidi, meno fermentati e meno torbidi, meno sporchi e meno vuoti… Più francesi… Intento sagace e meritorio, un’opera di sensibilizzazione quasi pari alla odierna cultura delle DOP, che sprona verso il miglioramento continuo. A Gallo, ecologista ante litteram, devoto alla terra madre, non a caso via via si legherà un po’ tutta l’agronomia dell’epoca, sino a quell’Olivier de Serres (1539-1619), che tuttavia in vari trattati non si degna di menzionare Gallo una sola volta (3), e infine al grande finalese Giorgio Gallesio (1772-1839), cui dobbiamo la famosa Pomona Italiana. Eccolo, il Settecento, l’età dei Lumi, forse il giusto secolo per Gallo, ch’ebbe solo il torto di nascere duecento anni avanti. Quanto alla Liguria, oggi di continuo contagiata da cinipidi e peronospore efferate, a quando un nuovo Gallesio che la protegga da minacce ormai esiziali?

(1) Herrera, cappellano del cardinale Cisneros, per suo mandato compose una Obra de agricultura compilada de diversos autores (1513), influenzata da Plinio il Vecchio, Columella…

(2) l’Alamanni nelle assidue riunioni agli Orti Oricellari frequentò Niccolò Machiavelli, che proprio a lui e a Zanobi Buondelmonti dedicò la Vita di Castruccio Castracani. Dopo alterne vicende operò anche a Genova come diplomatico, ma risiedendo infine in Francia dove in tarda età divenne maggiordomo di Caterina de’ Medici. Si ispirò alle Georgiche ne La coltivazione (1546), opera in 6 libri che forse oggi si ritiene la sua più sentita e poetica.

(3) Olivier de Serres introdusse in Francia la robbia (pianta per tingere tessuti, pelli e opere murarie), il luppolo e il gelso, e avviò una fattoria modello dove sperimentò le proprie teorie

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